Car pooling: nasce Clacsoon la nuova app che contribuisce alla riduzione di CO2

C’è una bella notizia in tema di mobilità sostenibile: è attiva Clacsoon un’applicazione di car pooling sviluppata in Italia da Greenshare, spin-off dell’Università di Cagliari e start up dell’Open Campus di Tiscali.

L’app permette di offrire e richiedere passaggi per risparmiare e inquinare di meno durante gli spostamenti urbani. Basta inserire la propria destinazione e subito si localizzano sulla mappa i potenziali compagni di viaggio, disposti a condividere anche solo parte del percorso, consigliando il miglior punto d’incontro. Il servizio si basa sul concetto di real-time, offrendo un’esperienza di carpooling del tutto automatizzata e più veloce rispetto ai principali concorrenti.

I vantaggi? Risparmio economico in termini di costo pro-capite di carburante, olio, pneumatici, pedaggi, costi di parcheggio e così via; si calcola che la cifra si aggiri sui 150 euro mensili su un tragitto medio casa-lavoro di 10 km, condividendo l’auto con altre 2 persone. Inoltre, si dà un contributo importante anche al problema dei parcheggi e allo sviluppo di connessioni sociali. Ma soprattutto c’è una riduzione dell’inquinamento, per il minor numero di mezzi in circolazione. E con la personalizzazione dell’app di Clacsoon, i risultati si possono misurare, migliorando la eco-reputazione degli enti e delle aziende che utilizzano il servizio. Grazie al pannello di controllo si possono quantificare la CO2 e i parcheggi risparmiati e i km percorsi. L’accesso può essere limitato esclusivamente a utenti con mail del dominio dell’ente ed è possibile collegare il proprio profilo Facebook.

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Clacsoon è un’app completamente gratuita, utilizzandola c’è solo da corrispondere al guidatore il costo del tragitto, cifra che viene indicata dalla stessa applicazione.

Vi segnalo un’adesione significativa: il gruppo Tiscali, da sempre attento alla sostenibilità, ha avviato una collaborazione Greenshare e ora i dipendenti possono offrire o richiedere passaggi in auto a Cagliari, compreso l’Open Campus di Sa Illetta.
“La partnership con GreenShare è in linea con i valori aziendali di Tiscali e rappresenta un ulteriore passo verso una gestione degli spazi lavorativi più consapevole ed attenta al rispetto dell’ambiente: siamo molto contenti di questa collaborazione con una azienda cresciuta all’interno di Open Campus”, ha dichiarato Renato Soru, amministratore delegato di Tiscali.

Anna Simone

 

Bere acqua del rubinetto: perché è meglio

Siamo accerchiati dalla plastica, moltissima è quella dispersa nell’ambiente. Non c’è neanche bisogno di tante parole, basta fare una passeggiata in spiaggia, in campagna, al parco pubblico o qualsiasi altro luogo naturale per renderci conto della plastica abbandonata. Non a caso quando si organizzano le raccolte volontarie dei rifiuti per ripulire qualche luogo (avete partecipato almeno una volta?), si collezionano sempre molte bottigliette in pet, di quelle usa e getta per intenderci, in particolare dell’acqua.

Riduciamo la plastica inutile

Non sostengo l’eliminazione della plastica dalla faccia del Pianeta perché mi sembra una proposta inattuabile, però possiamo davvero eliminarne parecchia a partire delle confezioni di acqua, un gesto semplice e che fa sorridere il nostro portafoglio.

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Vi invito a riflettere su questo: siamo fortunati perché viviamo in una parte di mondo che, tra le altre comodità, ci fa avere l’acqua potabile a portata di rubinetto, ma ci siamo ridotti ad acquistarla al supermercato, contenuta in bottiglie di plastica (almeno per l’80%, il restante 20% è in vetro) trasportate per chilometri e spesso anche sotto al sole? Eh no, “nun ce semo proprio” direbbero a Roma.

Io abito a Milano, bevo acqua del rubinetto e i miei reni stanno benissimo (lo posso anche certificare con una recentissima ecografia alle vie urinarie!). L’acqua pubblica italiana è di qualità perché super controllata, visto che la normativa di riferimento è stringente e non ci possono essere leggerezze.

Alcuni miei amici e conoscenti che comprano acqua confezionata si giustificano dicendo “quella del rubinetto sa di cloro”. Ora, l’ipoclorito di sodio, noto come cloro, deve essere usato per forza perché garantisce la perfetta igiene dell’acqua, dal punto di pompaggio fino al rubinetto. Per superare questo inconveniente basta raccogliere l’acqua in una brocca e lasciarla decantare per qualche minuto, così da non sentire nessun sapore o profumo di cloro.

Altra questione è quella del peso. Trovo incomprensibile trasportare casse di acqua dal supermercato a casa quando di fatto arriva in cucina e l’unico gesto da fare è aprire il rubinetto. Che poi, con la pioggia d’inverno e il caldo d’estate diventa anche stressante, no? Tra l’altro, quando ci sovraccarichiamo di pesi la nostra schiena non è mai contenta, al massimo lo sono i fisioterapisti che dovranno curarci le infiammazioni.

Meno bottiglie di plastica più salute per il pianeta

A tutto ciò si aggiungono le problematiche legate alla varie forme d’inquinamento. In Italia milioni e milioni di bottiglie viaggiano da nord a sud della Penisola, coprendo distanze che toccano anche 1200 km dalla sorgente di imbottigliamento al punto vendita. Il trasporto avviene su gomma e come è noto i camion contribuiscono ad aumentare sia il traffico sia l’inquinamento dato dai gas di scarico.

Che fine fanno queste bottiglie? Sono prodotte in pet e sono progettate e commercializzate per essere utilizzate una sola volta. Sottolineo che riutilizzarle per usi alimentari non è una buona idea perché c’è il rischio di contaminazione biologica.

Qual è il loro destino? Quelle conferite nel cassonetto della plastica arrivano a riciclo, tutte le altre sono disperse nell’ambiente, inquinando mari, oceani, laghi, fiumi e terreni. Stando alle stime però ogni 4 bottiglie consumate solo una viene riciclata, le altre 3 sono incenerite, interrate o abbandonate nella natura.

Oggettivamente è un controsenso dissetarci con acqua trasportata per km e contenuta in confezioni inquinanti quando c’è quella del rubinetto.

Acqua del rubinetto, la soluzione migliore

La maggior parte dei gestori dell’acqua forniscono le analisi della risorsa idrica città per città e, se controllate, vi accorgerete che i parametri ne garantiscono la qualità.

Alcuni di noi, però, non si fidano delle tubature del palazzo o comunque percepiscono un sapore particolare dell’acqua pubblica: sarebbe allora bene prendere in considerazione l’installazione di un apparecchio domestico di affinaggio dell’acqua, che serve per trattarla e quindi depurarla.

Vi segnalo a riguardo che è partita la campagna Smuoviamo le acque, che sensibilizza sull’uso dell’acqua del rubinetto e sulle varie soluzioni di trattamento, che assicurano il rispetto dei parametri di qualità della risorsa idrica stabiliti per legge al punto d’uso e cioè il nostro rubinetto.

Le soluzioni per sospendere l’acquisto di acqua imbottigliata ci sono: basta un clic per cercarle e farle proprie.

Anna Simone

Post scritto in collaborazione con Associazione Aqua Italia

 

 

Planet or plastic: la plastica può essere una risorsa?

È tutto racchiuso in questa foto: qualcosa nella gestione della plastica è andata e sta andando storta.
La cicogna intrappolata nel sacchetto è stata fotografata in Spagna dal fotografo John Cancalosi, che è poi riuscito a liberarla e dunque a salvarla.
Questo scatto l’ho visto durante Planet or plastic – in scena fino al 22 settembre presso il complesso museale bolognese di Santa Maria della Vita – una mostra suggestiva, organizzata da National Geographic, Genus Bononiae, Musei nella Città e Fondazione Carisbo, che è un concentrato di spunti che fanno riflettere sulla plastica, materiale leggero, resistente ed economico, che però va tenuto sotto controllo.

Le plastiche non sono biodegradabili

Se disperse nell’ambiente dall’uomo mettono in pericolo la vita degli animali, che spesso ne mangiano frammenti più o meno grandi scambiandoli per cibo e altrettanto spesso rimangono intrappolati in sacchetti e manufatti plastici, inoltre, la plastica gettata a mare o nei terreni ha un carico inquinante.

inquinamento mare

Potreste obiettare che la plastica si può riciclare, basterebbe impegnarsi in una corretta raccolta differenziata. È vero in parte. Le attuali tecnologie permettono di riciclare solo gli imballaggi, questo vuol dire che nel cestino dedicato alla plastica non possono andare oggetti o manufatti. Ad esempio, se si rompe un giocattolo, una penna, un evidenziatore, una ciabatta e così via, in plastica, vanno gettati nel cestino dell’indifferenziato, appunto perché non sono imballaggi.

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“Allora potremmo sostituire la plastica con la bioplastica, che è biodegradabile e compostabile”, potreste replicare. Non si può, perché le caratteristiche di questo materiale di nuova generazione non ne permettono un uso universale. Tra l’altro, ne approfitto per ricordare che la bioplastica non va gettata insieme alla plastica: il suo fine vita è con la spazzatura organica.

“La plastica biodegradabile non è la soluzione all’enorme problema della plastica, è una soluzione a una parte del problema”, ha affermato a margine di Planet or plastic Filippo Bertacchini, site relations manager di BASF Italia – azienda chimica che investe in tecnologie sostenibili e che un decennio fa è stata tra le prime a realizzare polimeri biodegradabili -. Io concordo con lui.

inquinamento plastica

Il miglior rifiuto è quello che non esiste

Pensare di voler sostituire tutta la plastica con altri materiali ed eliminarla dal Pianeta non è attuabile, non è realistico, insomma è una mera utopia. Bisogna essere pragmatici nell’affrontare il problema delle plastiche. Come? Avviando a riciclo quelle che possono essere riciclate, investendo in nuovi materiali a basso impatto ambientale, mettendo al bando l’usa e getta superfluo (ad esempio le cannucce di plastica, considerando che nei soli Stati Uniti se ne consumano 500 milioni al giorno), producendo materiali plastici che arrivino integri a fine vita senza perdere particelle (microplastiche) e investendo in soluzioni tecnologiche per un maggior riciclo.

Su quest’ultimo punto ho scoperto che BASF sta portando avanti un progetto di riciclo chimico, insieme ad altri partner, per trovare delle soluzioni all’emergenza plastica.
Si tratta di una modalità innovativa per ridare vita ai rifiuti attualmente non riciclabili, come quelli fatti di plastica mista o sporca, che di solito vengono inviati in discarica o bruciati per recuperare energia.

Il riciclo chimico

Col riciclo chimico si sfruttano i processi termochimici e dalle plastiche si ottengono gas di sintesi oppure oli da usare come materie prime nella produzione, sostituendo così una parte delle risorse fossili vergini. I primi prodotti pilota basati su rifiuti in plastica riciclati chimicamente sono già stati realizzati, quindi la via è precorribile.

Aggiungo che il riciclo chimico su larga scala permetterebbe di arrivare a un riciclo del 50% della plastica diventata rifiuto, mentre al momento siamo fermi al 18%. Basti pensare che su 100 oggetti di plastica, 9 vengono riciclati, 91 diventano rifiuti, di questi ultimi 12 vengono bruciati e 79 finiscono in mare.

La plastica è una grande invenzione, ma occorre gestirla in modo corretto, valorizzandone le proprietà e rispettando l’ambiente”. Sono le parole di Andreas Riehemann, presidente e amministratore delegato di BASF Italia.

Come? Un altro percorso intrapreso da questo gruppo aziendale è l’aver fondato a inizio del 2019 l’Alliance to End Plastic Waste, insieme ad 30 aziende, per promuovere soluzioni che riducano ed eliminino i rifiuti plastici nell’ambiente, soprattutto quelli dispersi negli oceani.
Sul piatto è stato messo oltre 1 miliardo di dollari con l’obiettivo di arrivare a 1,5 miliardi nei prossimi cinque anni per sviluppare e commercializzare soluzioni innovative capaci di ridurre al minimo i rifiuti plastici e di gestirli al meglio e nello stesso tempo promuovere soluzioni di riutilizzo della plastica in un’ottica di economia circolare.

mare pulito italia

Eco consigli

Chiudo con dei consigli: andate a vedere la mostra Planet or plastic a Bologna, riducete ai minimi termini l’utilizzo di prodotti plastici e non acquistate prodotti usi e getta tutte le volte che potete farne a meno!

Articolo scritto in collaborazione con Basf italia

Anna Simone

 

 

 

 

 

 

Caldo torrido e afa, i consigli degli esperti su cosa fare

“Anto’ fa caldo”, recitava una storica pubblicità. In questa estate 2019, dopo una primavera piuttosto autunnale, è arrivato il caldo torrido, con alcune città della Penisola che hanno superato i 40 gradi.
Come affrontare al meglio questi giorni di umidità e sole a picco? Ecco i consigli della Protezione Civile.

Cosa bere

Per mantenere la giusta temperatura in una situazione di caldo estremo, il corpo umano ha bisogno di raffreddarsi e lo fa tramite la sudorazione. Quest’ultima comporta però una grande perdita di liquidi, che vanno reintegrati in maniera adeguata, bevendo almeno 10 bicchieri di acqua al giorno, meglio se a temperatura ambiente. Optare per bevande troppo fredde, gassate, molto zuccherate, nonché alcolici e caffè non è salutare, le bevande sportive vanno bene solo per chi non ha problemi di salute, mentre gli anziani dovrebbero evitarle, a causa dell’alto contenuto di sodio.

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Cosa mangiare

Durante un’ondata di caldo è bene rimanere leggeri per non affaticare ulteriormente il corpo e mangiare alimenti che forniscono molti liquidi. Via libera a cibi ricchi di acqua e sali minerali, quindi frutta, verdura, minestre tiepide, pasta, riso e pesce, no fritti, grassi, dolci e cibi molto piccanti.
Anche per gli spuntini la cosa migliore è la frutta oppure un gelato, meglio se con gusti alla frutta.

Come posso aiutare il mio organismo

A parte un’alimentazione leggera e liquidi sufficienti, durante un’ondata di caldo il corpo ha bisogno di riposo. Sono da evitare lavori o sforzi fisici pesanti, specie se all’aperto e nelle ore più calde della giornata e se possibile è meglio passare in casa le ore più calde dalle 12 alle 17. Un bagno o una doccia fresca possono aiutare a sopportare le temperature elevate, mentre chi ha problemi di mobilità può tamponarsi con una spugna bagnata.
Durante le ore più calde bisognerebbe evitare anche viaggi prolungati in macchina, soprattutto se l’auto non ha l’aria condizionata.
Quanto all’abbigliamento è bene vestirsi con abiti leggeri, ampi e di tonalità chiare, aggiungendo anche un cappello e gli occhiali da sole.

Accorgimenti in casa

L’aria condizionata è la benvenuta, ma la differenza di temperatura con l’esterno non deve essere eccessiva.
La cosa più importante è ventilare bene la casa nelle ore notturnev (attenzione alle correnti d’aria), in modo da abbassare la temperatura all’interno. Di giorno bisogna chiudere le serrande e le finestre per evitare che la luce diretta del sole entri in casa.

Anna Simone

 

 

Lo scontrino dove si butta?

Lo scontrino fiscale non si butta nel cestino della carta. Questa informazione potrebbe sembrare stonata, considerando che oggettivamente si tratta di carta, eppure è così. Gli scontrini fiscali sono composti da una speciale carta termica e da altre sostanze che reagiscono al calore e creano problemi nelle fasi del riciclo, ecco perché il bidone giusto è quello dei rifiuti indifferenziati.

Come ricorda Comieco, il Consorzio nazionale del recupero e del riciclo degli imballaggi a base cellulosica, esistono diverse tipologie di carta utilizzata per gli scontrini. Vediamo le più comuni.

La carta termica è quella della maggior parte degli scontrini fiscali. Presenta delle componenti che reagiscono al calore e provocherebbero un forte scurimento del materiale in fase di riciclo, quindi non vengono riciclate. Potete fare la prova del nove provando a scaldare lo scontrino senza brucialo e vedere in diretta la carta annerire.

Le carte chimiche sono poco utilizzate per gli scontrini fiscali, ad esempio appartengono a questa tipologia la vecchia carta carbone e quelle caricate con capsule contenenti inchiostri; siccome in fase di riciclo si presentano gli stessi problemi della carta termica anche in questo caso il cestino dei rifiuti indifferenziati è quello giusto.

La carta normale delle fatture, delle ricevute o degli scontrini stampati con una stampante normale, invece, vanno nella raccolta della carta.

Tutte le volte che togliamo gli scontrini fiscali dalle tasche dei vestiti, dalle borse, dai sacchetti della spesa, dal portafoglio e così via dobbiamo ricordarci di gettarli nel cestino dell’indifferenziata.

Rimanendo in tema di scontrini fiscali, dal primo luglio 2019 i negozi medio-grandi (con volumi superiori ai 400mila euro), dovranno emettere scontrini digitali e mandarli direttamente all’Agenzia delle entrate a fine giornata. Poi da gennaio 2020 l’obbligo scatterà per tutti gli altri negozi. Questa novità interessa solo i negozianti, infatti, noi consumatori continueremo a ricevere lo scontrino di carta… da gettare nel cestino dei rifiuti indifferenziati.

Anna Simone